Superficie: 7 ha
Varietà: Pinot Noir, Gamay
Viticoltura: Biologica e biodinamica (non certificata)
“La perfezione tecnica non mi interessa, il risultato è una bellezza più “fredda” – dice Pascal – spero di fare vini che raccontino una storia e perché possano farlo liberamente deve esserci un equilibrio tra il controllo e il lasciar andare; questa è la parte più complicata. Il vino non si limita alla varietà, al terroir e all’annata, ma è anche un’interpretazione. In sintesi, un vino non è vivo se la vita all’interno dell’uva non è preservata e nutrita da coloro che l’hanno fatta nascere”.
Iniziamo con il dire che ci troviamo a Vosne-Romanée e l’indirizzo di questa cantina è proprio sulla via che porta nella piazza della chiesa. Per capire il Domaine Gerard Mugneret è necessario guardare al passato per comprendere bene l’evoluzione a cui si è arrivati oggi con un nuovo volto in azienda, quello di Pascal Mugneret, che porta avanti il Domaine in perfetta sintonia tra uomo e natura.
Siamo alla quarta generazione, prima di lui, in ordine di partenza, Eugène che acquistò i primi vigneti ma mantenendo il suo lavoro principale di falegname. Renè, il figlio, che fondò il Domaine Renè Mugneret, iniziando a lavorare le vigne a cavallo e fu il primo del suo comune a sforzarsi di trovare nuovi clienti – non a caso Becky Wasserman fu tra le prime clienti – e successivamente Gerard. Fu quest’ultimo, con la moglie Françoise, a cambiare il nome nel 1987 in Domaine Gerard Mugneret, tutt’ora in uso, aggiungendo al Domaine altre 2 vigne, Chambolle Musigny Les Charmes e il fantastico Savigny-les-Beaune Les Gravains da ‘’statue’’ centenarie.
Ogni generazione, in questo Domaine in totale conduzione famigliare, ha sempre fatto qualcosa di nuovo e buono nei tempi che furono. Ed è proprio qui, sull’ultima generazione, che mi soffermerò e cercherò di snodare una vera e propria rivoluzione silente, sotto gli occhi di tutti ma nell’ombra e senza far rumore, all’interno della Cote D’or, nel cuore del vino mondiale, Vosne-Romanée.
Pascal Mugneret ha studiato ingegneria e dopo la laurea ha iniziato a lavorare a Parigi, lasciando quindi Vosne-Romanée e la Borgogna. Questa terra porta un po’ di sana nostalgia, lo sappiamo bene noi amanti della Borgogna e nel 2003 Pascal si pone una domanda importante fondamentale: ‘’Le mie mani sono fatte per reggere una penna e dare ordine, oppure vogliono dar vita a qualcosa di più concreto?’’.
Questo è stata la scintilla di tutto. Quella che ha fatto accendere un fuoco lento, leggero, che piano piano, con il soffio degli appassionati, è cresciuto. Dopo un consulto interno famigliare, Pascal decide di tornare in Borgogna iniziando un percorso attento e minuzioso come un vero ingegnere sa fare.
Nel 2003 entra al Domaine e segue il papà Gerard nelle vinificazioni e nella coltura della vite, che però da buon genitore, lascia già al figlio 2 anni più tardi, la libera interpretazione. Sbagliando si impara e solo chi non fa non sbaglia.
Nel 2005 elimina il diserbo e nel 2010 la svolta verso l’eliminazione di spray sintetici lo porta dritto per dritto verso la biodinamica a cui oggi è strettamente legato.
‘’Con il passare del tempo, gli effetti dei nostri cambiamenti nella viticoltura sono diventati più evidenti. I metodi biodinamici, che riportano il viticoltore al centro dei vigneti con una costante apertura mentale, sono stati stabiliti per il lungo termine, per cercare l’armonia. Il lavoro in vigna è stato sincronizzato con i cicli lunari e planetari. Si è intensificato l’uso di infusi contro le malattie dei vigneti. Osservammo una maggiore elasticità dei nostri terreni, un aumento della biodiversità, una maggiore resistenza alle malattie e i nostri vigneti si evolsero… le viti erano più erette; i sintomi del fanleaf (arricciamento fogliare) diminuirono; il verde scuro lasciò il posto a un verde più brillante, indicando un migliore equilibrio e una relazione più simbiotica tra la vite e il suolo. I grappoli hanno assunto un’altra forma, con steli più lunghi e acini più aerati’’
Il passaggio in biodinamica e l’attenzione alla natura, alla vigna e al suolo portano Pascal Mugneret a differenziare più precisamente le sfumature di terroir e a parcellizzare le sue vigne, con una divisione nella divisione che sta per: un vino Vosne-Romanée village che trova, dall’annata 2018, una divisione in 3 nuance diverse. Vosne-Romanée Cuvée Quatrain, Vosne-Romanée Aux Vigneux e Vosne-Romanée cuvée Précolombière interpretando 3 zone del comune con caratteristi pedo-climatiche. Stessa cosa è accaduta per il Bourgogne che si divide in Bourgogne e Bourgogne “rouges-champs”, quest’ultimo appena fuori dal muretto a secco di Clos Vougeot, di fronte alla Combe D’Orveau (non proprio un “semplice” Bourgogne).
E dulcis in fundo la scissione del Nuits Saint Georges Les Boudots 1er Cru (Cuvée) da cui ne derivano altri 2 vini: Nuits Saint Georges “Aux Cras” e Nuits Saint Georges “La Richemone” entrambi 1er Cru. Il risultato? Più vini (non in termine di quantità) e più differenze dove emergono il terroir e la personalità.
Il Domaine – che è anche la casa di Pascal – ha sempre avuto, fino al 2020, un vero e proprio giardino, circondato al lato sud da un muretto. All’interno di questo cortile, che non ha mai visto viti (si può supporre che i terreni siano privi di nematodi, vettori del virus del fogliame) Pascal ha deciso di creare un parco vitato con 900 piante di 70/80 tipologie genetiche. È importante a oggi preservare la genetica, studiarla e poter avere un luogo da cui attingere per fare delle selezioni massali nel momento del bisogno portando avanti i propri vigneti di generazione in generazione… come cita il pay off del Domaine: “Vigneron de pères en fils”.
Con i cambiamenti in vigna, iniziano a cambiare anche le vinificazioni, Pascal inizia ad avvalersi del grappolo intero tra il 25 e il 40% (non era mai stato fatto dal papà), andando ad estrarre delicatamente e con un miglior controllo della temperatura, ottenendo, con l’invecchiamento vini più floreali, fini e precisi ma non era ancora soddisfatto. Mancava quella parte più libera, più scattante, più movimentata e ancora più territoriale, specifica del cru. Viva!
Il 2016 è quindi l’anno zero, decide di liberarsi da contraddizioni, incoerenze e vincoli, entrando ancora più nello specifico con quello che ha fatto precedentemente. Va così a limitare le rese e ad aumentare (tra il 40% e il 100%) l’uso del grappolo intero. Da qui esce il genio e il lavoro minuzioso che lo porta a decidere la percentuale di esso per ogni singola cuvée/vigna (riportato in retro-etichetta). Inizia quindi un utilizzo del grappolo intero con cognizione, senza andare a omologare niente, ma con differenti interpretazioni da clima a clima e da vigna a vigna.
Da questo momento anche tutti i travasi avvengono per gravità. Le dosi di solforosa si abbassano e diventano addirittura inesistenti quando le uve sono perfettamente sane. Ci ha pensato a lungo Pascal: “Se la ragione è quella della sicurezza, per dormire bene la notte, non la considero una buona ragione. Più fondamentalmente, di cosa ha bisogno il vino? La risposta richiede un’osservazione intensiva nel tentativo di comprendere i cicli del vino”. Tutto ritorna a libero, scattante e territoriale.
“La perfezione tecnica non mi interessa, il risultato è una bellezza più “fredda” – dice Pascal – spero di fare vini che raccontino una storia e perché possano farlo liberamente deve esserci un equilibrio tra il controllo e il lasciar andare; questa è la parte più complicata. Il vino non si limita alla varietà, al terroir e all’annata, ma è anche un’interpretazione. In sintesi, un vino non è vivo se la vita all’interno dell’uva non è preservata e nutrita da coloro che l’hanno fatta nascere”.